Nell’ambito di Operazione Bloody Fjords, la campagna in corso per porre fine al massacro di globicefali e altri delfini nelle danesi Isole Faroe, Sea Shepherd ha coordinato dieci settimane di pattugliamenti sotto copertura da terra, nei mesi da luglio a inizio settembre di quest’anno. Stiamo ora pubblicando i racconti personali di sei di queste squadre di volontari e le immagini che hanno raccolto.

Di seguito il racconto della Squadra 2, per favore leggete e condividete!

La Squadra 2, con base a Tórshavn, ha assistito alla grindadráp a Hvannasund del 17 luglio 2017 (191 globicefali uccisi).

“Inferno in Paradiso”. Non giriamoci intorno: l’unica cosa paradisiaca alle Isole Faroe è la luce gloriosa che a volte illumina le scogliere nere e verdi che si ergono dal mare.

Eppure, per chiunque vada lì con l’intenzione di difendere le vite di migliaia di essere innocenti, non c’è dubbio che questa contraddizione incarni ciò che si prova.

Prima di partire, eravamo già consapevoli del fatto che quest’anno sarebbe stato particolarmente difficile per i delfini intorno alle coste dell’arcipelago. C’erano già state parecchie battute di caccia (o grindadráp) nei pressi di Hvannasund, ma non avrei mai immaginato quanto il mio compito sarebbe stato difficile. L’idea di documentare un massacro non è una cosa piacevole, ma un’esperienza che ti porta in una dimensione completamente nuova, che differisce radicalmente dalla semplice visione di immagini e filmati di un qualcosa che si svolge a migliaia di chilometri di distanza, attraverso lo schermo del computer, per quanto scioccanti siano queste immagini.

Alle 16:30 del 17 luglio il responsabile della mia missione ha inviato un messaggio a me e al mio compagno: un sito feringio aveva appena pubblicato un articolo in cui si affermava che un gruppo di oltre un centinaio di globicefali era stato inseguito dai cacciatori nei pressi di Hvannasund. Sono partito da Torshavn il più velocemente possibile e mi sono diretto verso la cittadina, a oltre un’ora di macchina, in direzione est. Il viaggio è sembrato infinito e l’unica cosa che riuscivo a pensare era che volevo arrivare il più velocemente possibile, con l’obiettivo di documentare atti di crudeltà verso i delfini per scopi legali, una cosa che pareva tristemente ironica conoscendo il destino che li attendeva.

Ad un certo punto sono finalmente uscita del secondo “tunnel della morte” (nome che avevamo dato ai due lunghi, stretti e cupi tunnel che portano qui) e ho svoltato a sinistra. Da lì, ho guardato giù verso la cittadina e potevo già vedere che l’acqua della baia non era del suo colore abituale, ma era coperta da una sostanza rossa brillante: la grindadráp aveva già avuto luogo. Una coppia di turisti si era fermata sul lato della strada e stava guardando dall’alto verso la spiaggia, all’altro lato della baia. Ho notato che la donna aveva un’espressione di disgusto, sembrava stesse pensando “Oh Dio, che orrore”. Continuavo a chiedermi cosa avrei dovuto fare, ricordando i consigli dei miei responsabili: “Avvicinati il più possibile. Fingi semplicemente di essere un turista e tutto andrà bene”.

Ho allora attraversato la piccola strada che porta alla baia e sono sceso alla spiaggia, dove i delfini erano stati massacrati. Mi sono avvicinato alla folla. Dalla quantità di gente sembrava che l’intera cittadina fosse lì. Mi sono avvicinato al margine della spiaggia. C’erano decine e decine di corpi senza vita allineati, accatastati, non ho idea di quanti delfini morti ci fossero davanti a me. Uno solo sarebbe già stato troppo, ma in questo caso si trattava di un massacro. Mentre camminavo lungo la spiaggia ho osservato per la prima volta da vicino questi enormi, magnifici, membri della famiglia dei delfini, talmente grandi che in inglese vengono chiamati “whale” (“balene”, nota di traduzione). Tutti avevano un taglio profondo su gran parte della testa. Stranamente in quel momento non ho provato niente. Soltanto più tardi sono stato colpito dal vero shock. Probabilmente in quel momento ero troppo focalizzato sul compito da portare a termine, o semplicemente forse dovevo mantenere il controllo. La GoPro stava registrando, cercando segni sospetti sui corpi.

In realtà la folla mi ha a malapena notato. Alcune persone mi hanno guardato ma la maggior parte di esse stavano ridendo o sorridendo, il che mi ha fatto salire la rabbia. Più avanti, sulla spiaggia, ho avvistato alcuni delfini ancora in vita. Non lo sarebbero rimasti ancora a lungo; gli uomini li stavano spingendo rapidamente, recidendogli la colonna spinale. Poi i delfini hanno rotolato su un fianco, sanguinando fino alla morte. Mentre proseguivo ho sentito due barche dirigersi verso il mare, a poche centinaia di metri dal fiordo. Dall’acqua sono emerse alcune piccole pinne nere, prima tre, poi quattro, seguite da una quinta pinna molto più grande. Un piccolo gruppo era sopravvissuto, ma per quanto ancora? I cetacei sono rimasti dove erano, continuando a nuotare in circolo. Nel profondo, avrei voluto urlargli di scappare, ma invece mi sono spostato velocemente verso la fine della spiaggia, per guadagnare un punto di osservazione migliore. Da lì ho osservato mentre gli uomini perseguitavano senza pietà le loro vittime. Non riuscivo proprio a comprendere la loro ostinazione nei confronti di questi cinque delfini, quando a soli pochi metri di distanza c’erano già così tanti enormi delfini che stavano annegando nel proprio sangue. Si tratta di una scena che nessuna logica razionale potrebbe spiegare. Poi è arrivato un piccolo traghetto che collega la cittadina alla capitale e, in una manovra che non sarebbe possibile vedere da nessun altra parte del mondo, si è diretto velocemente verso il piccolo gruppo di sopravvissuti. Le scene di spietata violenza, il sottofondo di gioia e risate dei partecipanti, contrastavano in maniera incredibilmente scioccante con la bellezza di questi animali. Fortunatamente, e a dispetto della loro esperienza nell’uccidere delfini tramandata nei secoli, le quattro barche intente ad attaccare il gruppo di sopravvissuti a un certo punto si sono arrese, ammettendo la sconfitta. Che sollievo!

Sono allora tornato indietro, osservando gli uomini mentre legavano delle cime alle code dei delfini e li trascinavano con le loro barche, prima di sollevarli con le gru fuori dall’acqua e gettarli su dei camion (questi animali possono pesare diverse tonnellate). I bambini lanciavano delle pietre in acqua e sui corpi senza vita. Altre persone erano intente a scattare “selfie”, sorridendo vistosamente davanti ai cadaveri. Oltre ai cinque sopravvissuti, nessun altro membro della famiglia di delfinidi, giovane o vecchio, maschio o femmina, è stato risparmiato.

Eppure avevo ancora lavoro da fare, dovevo seguire i camion e scoprire dove avrebbero portato i corpi. Ci siamo diretti verso Klaksvik, il porto più vicino in grado di tenere i molti delfini. L’inseguimento è stato abbastanza semplice perchè hanno lasciato una scia rossa lungo il centro della strada tra le due cittadine. Dieci chilometri più avanti, a Klaksvik, il sentiero sanguinoso ha girato a destra verso il porto. Ho parcheggiato e quando mi sono avvicinato alle barche ho visto che i corpi erano statti piazzati alla fine del molo. Una dozzina di vecchi residenti stavano parlando tra loro. La gente camminava verso di loro, osservando. Dopo aver esitato per un attimo, ho deciso di andare giù. Ho superato un gruppo di persone che ci hanno osservati con curiosità ma niente di più. A quel punto eravamo abbastanza vicini da vedere che i delfini erano stati eviscerati. Lentamente siamo arrivati fino alla fine del molo, prendendoci il tempo per osservare i corpi, adesso fuori dall’acqua, uno ad uno. Sei o sette femmine erano incinte. Le placente riverse sul cemento non erano rotte, ma una di esse era stata strappata, mostrando il piccolo occhio di un feto. Ho contato circa 40 globicefali in totale. Sembrava un numero piccolo rispetto al numero di corpi visti prima sulla spiaggia a Hvannasund. Sapevo poco al momento, ma in effetti il molo più grande del porto si trovava dall’altra parte della baia… Non c’era niente da fare e dal momento che il sole stava tramontando e non volevamo alimentare la curiosità dei locali, abbiamo deciso di tornare a casa. Il viaggio di ritorno è stato estremamente duro perché tutto ciò che avevo visto durante il giorno mi ritornava alla mente, e sono stato colto dall’orrore e dall’emozione.

Una volta tornati a casa è stato il momento di esaminare e fare il back-up delle foto e dei filmati. Abbiamo deciso di tornare molto presto il giorno successivo per cercare qualsiasi tipo di indizio su quello che succede a tutti i corpi, a tutta la carne, specialmente dal momento che si erano già svolte numerose grindadráp. Alle 4 del mattino è suonata la sveglia, ma ho fatto fatica ad aprire gli occhi. Si era trattato soltanto un breve sonnellino! Mi sono diretto a Klaksvik intorno alle 5. Logicamente sono tornato allo stesso punto del giorno prima. Tutti i corpi erano lì, ma le placente non c’erano più. Ho esaminato l’area, ma non ce n’era traccia nei contenitori o nei bidoni dei rifiuti. Cosa potevano averne fatto? Ho lasciato il porto e ho deciso di fare un giro in macchina nei dintorni per capire come muovermi; sarebbe potuto essere utile più tardi. Dal momento che si tratta di una piccola cittadina con poche strade, è stato abbastanza semplice apprendere i punti di riferimento. Tuttavia ho perso di nuovo l’entrata occidentale del porto. Una strada conduce sopra la cittadina, così mi sono diretto lì per avere una visione più ampia. Da lì ho potuto vedere l’intera baia, il molo a destra (est) dove ero stato… e poi l molo occidentale. C’era un certo movimento laggiù, perciò ho tirato fuori il mio teleobiettivo ed è allora che ho avvistato innumerevoli cumuli neri, allineati uno dietro l’altro. Sono andato dritto laggiù. Quando sono arrivato una piccola folla si era radunata all’entrata del molo occidentale. Un uomo è arrivato e ha iniziato a parlare con la folla. Era giunto il momento di condividere le loro prede. Decine e decine di persone sono arrivate con carriole, cestini dei rifiuti o grosse borse. Ho provato a seguire la folla per dare un’occhiata a quest’area che mi ero perso il giorno precedente. Ma hanno iniziato a fissarmi, facendomi capire che non sarei dovuto essere lì. Tuttavia, sono rimasto abbastanza a lungo per vedere come la carne e il grasso erano stati tagliati. Rispetto alle dimensioni dei delfini, era stato tenuto soltanto uno strato sottile. Una grossa massa di carne era rimasta sui cadaveri e i gabbiani si affollavano sulla banchina per beccarli.

Dal momento che non potevo restare molto a lungo, ho deciso di tornare all’altro lato della baia. Là i corpi erano ancora intatti (e non abbiamo mai capito cosa ne abbiano fatto). Ho trovato un punto di osservazione nelle vicinanze, in una strada tranquilla con una vista abbastanza buona su ciò che stava accadendo nella baia. Sono scivolato nella parte posteriore dell’auto, con i vetri oscurati, e ho preso in mano la fotocamera. Abbastanza casualmente, appena sotto ho visto un camion bianco che stava partendo. Mentre passava, ho visto che stava trasportando parecchi globicefali, ancora intatti (ad eccezione dell’eviscerazione). Incuriosito, ho deciso di seguirlo. E’ stato abbastanza semplice per via delle poche strade presenti sulle isole. Dopo circa un centinaio di metri l’ho incontrato mentre girava sulla strada principale, proprio davanti a me. Ci siamo diretti verso il pontile occidentale. L’autista ha girato verso il pontile, mentre io ho proseguito dritto. Quando sono tornato indietro, ho rivisto il camion parcheggiato vicino all’entrata del porto e ho deciso di parcheggiare tra due auto a 50 metri di distanza, e osservare l’autista. Ha fatto una telefonata, è uscito dal camion, ha girato in cerchio, poi ha parlato con qualcuno, é salito di nuovo a bordo, ha girato il camion ed è sceso di nuovo. Era chiaro che non sapesse cosa dovesse fare. Dopo 10 minuti passati così ha avviato il motore e si è diretto verso un edificio, dove l’ho perso di vista. Sono passati alcuni minuti ma non succedeva niente. Allora ho deciso di tornare al mio punto di osservazione sull’altro lato della baia, sopra al molo orientale. Si stava ancora svolgendo stessa misera scena. Prendevano pochi pezzi e poi partivano di nuovo. Non saprei dire se le stesse barche siano tornate diverse volte.

Poi il camion bianco è tornato indietro! Ha superato un camion rosso che prima non avevo notato, parcheggiato vicino al molo dove erano allineate le 150 carcasse. Poi ho avvistato un muletto in movimento. Ha sollevato un enorme globicefalo, ancora intatto, con soltanto lo stomaco rimosso (tutto è stato filmato). Mentre il muletto e il delfino si avvicinavano al camion, il mammifero è scivolato e caduto, rimbalzando a terra. Pur sapendo che fosse morto, è stato immensamente doloroso vederlo trattato in questo modo. Il muletto è poi riuscito a riprenderlo, dopo un paio di tentativi, e a caricarlo nel camion rosso.

Poi ho dovuto prendere una decisione: andare via subito e provare a cercare il camion bianco sarebbe stato un po’ rischioso perché lo avevo perso di vista, oppure restare e tenere d’occhio il camion rosso. Ho deciso di restare. Il muletto è tornato al molo, ha tirato su un altro grosso cetaceo e lo ha caricato sul camion, questa volta senza incidenti. Nonostante avesse fatto cadere il precedente, questo conducente doveva avere familiarità con l’equilibrio dei corpi di questi grossi cetacei, il cui peso arriva a diverse tonnellate, per poter essere in grado di tirarli tra le due forche del muletto fino a sopra un camion, manovrandoli così velocemente. A un certo punto il camion rosso è ripartito. Senza perdere un minuto, sono ripartito anche io e mi sono diretto verso la rotatoria ai margini della cittadina, dove ero sicuro che il camion sarebbe passato. Non aveva scelta, indipendentemente dalla direzione in cui fosse diretto, avrebbe dovuto percorrere la rotatoria. Beccato! L’ho visto passare mentre stavo per dirigermi verso la rotatoria. Poco più avanti sono stato sorpreso nel vedere che il camion bianco lo stava aspettando, per cui mi sono trovato a inseguire non uno, ma due camion carichi di corpi di globicefali.

All’inizio il camion bianco andava piuttosto veloce nonostante il suo carico, ma poi in salita questo si è fatto sentire e i camion hanno fatto fatica, procedendo ad una velocità di appena 40 km/h. Dopo un po’ è parso evidente che si stessero dirigendo verso ovest. All’ultima rotatoria che collega la strada con Vagar hanno girato a sinistra. Ci stavamo senza dubbio muovendo verso la capitale. Alla fine siamo arrivati a Torshavn. Il camion bianco, che continuava a viaggiare ad una velocità più elevata rispetto all’altro, aveva appena superato la prima delle rotonde della città e l’ho perso di vista. Dato il traffico e il numero maggiore di macchine, ho deciso di usare prudenza e mi sono attaccato proprio dietro al camion rosso, in modo da non avere niente tra me e lui. Dopo un po’ il camion ha girato a destra e… si è fermato in una stazione di servizio. Questo non lo avevo previsto! Non c’era modo di andargli dietro, per cui ho proseguito superando la stazione e sono tornato indietro alla successiva rotonda, nella direzione da cui ero arrivato, con un nodo allo stomaco per la paura di aver perso il camion. Era ancora lì! Mi sono fermato in un parcheggio fuori dalla stazione e ho atteso circa dieci minuti prima che l’autista tornasse. Si era fermato a mangiare! Poi siamo ripartiti.

Sono rimasto il più vicino possibile dietro di lui, ma iniziavo a chiedermi se il conducente si fosse accorto che la stessa macchina si trovasse dietro di lui da oltre un’ora. Ho continuato a ripetermi che probabilmente non potesse immaginare di essere inseguito. A un certo punto il camion ha messo la freccia a sinistra, e si è girato per dirigersi nella strada alla sinistra. Ho fatto la stessa cosa. Le macchine davanti si sono fermate e improvvisamente, invece di girare come mi aspettavo, il camion ha accelerato ed è andato dritto. Inutile dire che i miei dubbi iniziali si sono ingranditi per via delle manovre del camion! Ma forse si era semplicemente accorto di aver sbagliato strada, magari ricordandosi che c’erano in corso dei lavori stradali in centro città? In ogni caso non c’era modo di perderlo adesso, per cui ho deciso di girare prima possibile, aspettare al semaforo e tornare indietro nella direzione del camion. Mi sono guardato intorno: niente. Ho guardato indietro in ogni stradina per vedere dove potesse aver girato, e alla fine l’ho avvistato. Sembrava un inseguimento da film! Avevo imparato la lezione e questa volta ho mantenuto una distanza maggiore, riuscendo a seguirlo senza difficoltà fino all’ingresso di un cantiere navale. Avevo già girato quella zona a piedi pochi giorni prima e sapevo che l’inseguimento sarebbe finito lì. Ho continuato a mantenere la mia distanza e ho visto il camion fermarsi davanti al cancello. C’era un cartello affisso all’ingresso e un uomo con una giacca arancione. Mi sono fermato a pensare. Cosa dovevo fare? Ero da solo in macchina. Non sembravo per niente un locale, avevo la mia attrezzatura, i miei filmati… avrei potuto seguirlo all’interno, anche se l’accesso sembrava essere riservato, e chissà cosa sarebbe potuto succedere, specialmente se l’autista avesse davvero notato la mia macchina. Oppure sarei potuto tornare indietro. Ci ho pensato per qualche secondo e, con dispiacere, ho deciso di attraversare il porto per avere una visuale sul molo.

Che errore! Vedevo ancora il camion rosso accanto agli edifici sulla banchina, ma a un certo punto si è spostato in avanti ed è sparito dietro agli enormi pescherecci che bloccavano la mia visuale. Ho perso le tracce del camion e dei cetacei! Allora ho deciso di tornare indietro a piedi, ma ho realizzato che c’erano solo due edifici dove un camion avrebbe potuto fermarsi. Il primo era il cantiere di riparazione delle barche, il secondo un edificio con il logo della United Seafood, l’edificio dove i pescatori scaricano il pesce. In altre parole, la sua destinazione più probabile era una società di vendita di pesce! A questo punto come possiamo negare l’esistenza di un commercio di carne di delfino (venduta direttamente o dopo la lavorazione)?

Sono rimasto lì, ad osservare, per molte ore. Non ho visto arrivare nessun altro camion, e non ho visto ripartire né il camion bianco, né quello rosso. Quindi, per concludere il mio racconto, anche se non c’è più alcun dubbio, purtroppo non ho una prova tangibile dei corpi che venivano portati all’interno nell’edificio. Ho lasciato l’isola, come sempre, con un’immensa sensazione di frustrazione, ma anche con la minima speranza di aver contribuito in qualche modo a fare un passo avanti nella lotta contro i massacri di globicefali.

Nei prossimi giorni pubblicheremo altri racconti e immagini, continuate a seguirci.

Operazione Bloody Fjords nelle Isole Faroe

Traduzione a cura di Valentina Guerrieri.

Articolo originale: https://www.seashepherdglobal.org/latest-news/bloody-fjords-witness-team2/

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