Ad oggi, gli Stati Uniti hanno inserito nella lista dei pesci con divieto di importazione, nove specie tra quelle che vengono abitualmente esportate verso gli Stati Uniti dalla costa occidentale di Te Ika-a-Māui (isola del nord della Nuova Zelanda / Aotearoa). Lo scopo è evitare che i consumatori americani contribuiscano involontariamente allo sterminio del più raro delfino al mondo, il delfino Māui, che abita quelle acque. Il responsabile di Sea Shepherd Nuova Zelanda, Michael Lawry si domanda “Perché non è la stessa Nuova Zelanda a occuparsi di proteggere i suoi delfini nazionali, mentre gli Stati Uniti vietano l’importazione del nostro pesce?”
Si stima che rimangano dai 48 ai 64 esemplari di delfini Māui. Sono letteralmente al limite della sopravvivenza. Com’è arrivata a questo la “pulita e verde” Nuova Zelanda? Forse la Nuova Zelanda assomiglia più a una Repubblica delle banane di quanto noi stessi vorremmo ammettere? Non è certo il verde e selvaggio rifugio che viene millantato al resto del mondo, si direbbe che qui l’unica cosa “sostenibile” sia la vendita di menzogne.
Diverse volte mi è stato chiesto – persino sulle nostre stesse pagine social – come io mi permetta di criticare l’industria ittica commerciale della Nuova Zelanda. L’industria del pesce è sempre stata florida, e possiede molto potere politico. Nell’ultimo decennio il presidente di una delle due principali fazioni politiche è anche stato per diversi anni direttore di una delle tre principali aziende del pescato nazionali. Durante la pandemia Covid, le società attive nei settori agricoli o simili non poterono chiamare lavoratori dall’estero per il raccolto con conseguente perdita di prodotti. E l’industria della pesca? Con il Covid commissionò velivoli ed importò equipaggio dalla Russia. Come se gestisse un’economia parallela al resto di tutti noi. Detto apertamente, finora l’industria della pesca in Nuova Zelanda ha potuto fare tutto ciò che ha voluto. I governi successivi hanno volutamente peggiorato la situazione oppure avevano paura, quasi paralizzati e incapaci di tenere a freno l’industria. E quando i progressi sono scarsi spesso si accusa la Corona (il governo Neozelandese) per obbligarla a ritirarsi. Ironico, non vi pare?
La Commissione internazionale per la caccia alle balene (IWC) e l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) ci ripetono da dieci anni che dobbiamo proteggere i Māui e i loro cugini, i delfini Pahu (Hector) all’interno del loro habitat. A 100 metri di profondità, per circa 20 miglia nautiche (37 km). Sembra facile, no? Abbiamo quindi deciso di avviare un’azione legale per proteggere i delfini e ottenere una valutazione indipendente del settore, e portare il “problema del delfino Māui” al di fuori dell’ambito di influenza dell’industria.
Tutto dipende dal potere della Legge sulla protezione dei mammiferi marini (MMPA) degli Stati Uniti. In poche parole, qualsiasi nazione voglia esportare pesce verso gli Stati Uniti, che non metta in atto le relative norme per la protezione dei mammiferi marini riceverà un “No, non vogliamo il vostro pesce”. I Paesi sono stati avvertiti di questa possibilità fin dal 2017, e hanno avuto tempo fino al 2022-2023 per conformarsi.
Dopo anni di enormi battaglie legali, elaborati rapporti da parte dei nostri tecnici più esperti e dichiarazioni da parte del nostro equipaggio, a fine novembre 2022 abbiamo vinto un’ingiunzione preliminare. Il governo neozelandese ha quindi tentato di ritardare il divieto richiedendo un’istanza di sospensione fino alla fine di gennaio 2023. L’industria sostiene di avere bisogno di tempo per implementare un sistema di tracciabilità. Vale a dire che non sono in grado di dimostrare se il pesce viene effettivamente prelevato dall’habitat dei Māui oppure no. Bel colpo, questo dimostra nuovamente la loro pessima gestione, e innalza il volume delle esportazioni incriminate dalla stima ufficiale di 2 milioni di dollari a 200 milioni di dollari.
Entrambe le parti hanno presentato le loro ragioni, i nostri avvocati, ora guidati da Earthrise (Lewis & Clark Law School, Oregon), hanno vinto e il divieto resta in vigore.
Non siamo ancora arrivati a portare il caso in tribunale e forse non ci arriveremo mai. Forse il NOAA (National Marine Fisheries Service, informalmente noto come NOAA Fisheries) convincerà la Nuova Zelanda ad attuare una protezione dei mammiferi marini simile a quella degli Stati Uniti. Forse il governo della Nuova Zelanda proteggerà totalmente i delfini Hector e Māui, così che non si renda necessario un divieto di esportazione del pesce. A seconda di ciò che accadrà, continueremo la nostra azione legale oppure la nostra azione legale non sarà più necessaria. Missione compiuta.
Cosa comporta questo per le altre nazioni e per gli altri mammiferi marini? Quando la Scozia dovette affrontare un simile divieto, sempre attinente le leggi degli Stati Uniti, decisero di proteggere la loro industria del salmone del valore di 179 milioni di sterline, vietando l’abbattimento delle foche in prossimità degli allevamenti di salmone. La Nuova Zelanda invece, con tutta l’arroganza dell’industria ittica, continua ad esporsi a ulteriori azioni legali. Vogliamo parlare del leone marino neozelandese a rischio di estinzione che viene catturato dai pescherecci di calamari nelle isole Auckland? O dei cugini dei Māui, i delfini Pahu (Hector) che vivono nei pressi di Te Waipounamu (Isola del Sud) e delle esportazioni di pesce dal loro habitat? A meno che la Nuova Zelanda non operi un’inversione di rotta, è possibile che questo divieto si estenda fino all’Unione Europea. Dopotutto le normative degli Stati Uniti hanno fatto la maggior parte del lavoro. Gli australiani sono contenti di mangiare pesce strappato con le reti a strascico dall’habitat dei Māui? Ne sono almeno consapevoli?
Sin dalle prime vittorie legali ci è stato chiesto da alcune persone stranamente esasperate che cosa volessimo veramente. Il loro ragionamento contorto sembra essere: non ne sono rimasti molti, quindi quante possibilità ci sono di catturarne uno? Solo perché attualmente ci sono meno delfini Māui non significa che possiamo continuare a pescare nel loro habitat. Certo, è utile raccogliere più dati con i droni o monitorarli con le nostre imbarcazioni, ma non possiamo continuare a osservare finché non si estinguono. E non accadrà senza sanzioni penali e senza che la Nuova Zelanda ci rimetta la sua “faccia verde”.
Altri articoli al link: “Court bans import of fish from New Zealand fisheries to protect Māui dolphin”
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